Il suono dell’olio che sfrigola e l’odore di pane appena fritto: così comincia ogni banco di festa in molte trattorie dell’Emilia-Romagna. Lo gnocco fritto vive di quella immediatezza sensoriale, bocconcini che si mangiano ancora caldi e che raccontano una cucina popolare fatta di ingredienti semplici e tecniche consolidate. Questa versione muta due elementi importanti della tradizione: si sostituisce la farina raffinata con la farina integrale e la farina di castagne, e si elimina lo strutto sia nell’impasto sia nella frittura, privilegiando un grasso neutro come l’olio. Non è un esperimento estemporaneo: è la trasposizione di pratiche locali in chiave più leggera, senza cancellare la funzione originaria del piatto, che rimane quella di accompagnare i salumi tipici della pianura padana. Un dettaglio che molti sottovalutano è la diversa resa della pasta con farine integrali: richiede tempi di lavorazione e di lievitazione più attenti per mantenere la fragranza.
La tradizione, i cambiamenti e perché conta
Lo gnocco fritto è un prodotto della convivialità rurale, spesso associato a momenti di festa nelle province di Modena e Reggio Emilia. Nella versione classica l’impasto leggero si frigge nello strutto e accompagna salumi come il prosciutto di Parma, la coppa piacentina e il culatello di Zibello. La proposta che vi raccontiamo mantiene questo profilo gustativo ma modifica la tessitura dell’impasto: la farina integrale introduce fibre e sapori più rustici, mentre la farina di castagne dà una nota dolce e una colorazione ambrata. Chi vive in città lo nota: la richiesta di alternative più leggere o con farine diverse cresce nei locali che aggiornano il menu, ma allo stesso tempo il pubblico non vuole rinunciare alla fragranza originale.

Il motivo per cui questi cambiamenti funzionano sta in due aspetti pratici. Primo, la sostituzione dello strutto con olio neutro riduce la percezione grassa, rendendo lo gnocco più digeribile per alcuni commensali. Secondo, le farine meno raffinate assorbono più liquidi e richiedono una gestione diversa della lievitazione, per evitare impasti compatti. Un aspetto che sfugge a chi cucina raramente: la stessa quantità d’acqua va calibrata in base al tipo di farina. In diverse città italiane i laboratori di cucina riportano che il tempo di riposo va allungato per ottenere bolle regolari e una superficie ben gonfia.
Un dettaglio pratico: la temperatura dell’olio al momento della frittura determina la resa finale. Se è troppo alta, l’esterno brucia prima che l’interno lieviti; se è troppo bassa, lo gnocco assorbe troppo olio. Questo è un elemento che molti sottovalutano durante le prove casalinghe.
Ricetta e procedimento passo dopo passo
La ricetta parte da dosi semplici ma richiede attenzione alla sequenza. Per circa 20 bocconcini servono: 200 g di farina integrale, 100 g di farina di castagne, 150-180 ml di acqua tiepida, 8 g di lievito di birra fresco o 3 g di lievito secco, 8 g di sale, un cucchiaio di olio extravergine per l’impasto e olio di semi per friggere. Nota che le farine integrali assorbono più acqua: regolatevi durante l’impasto per ottenere una consistenza morbida ma non appiccicosa. Un dettaglio che molti sottovalutano è la temperatura dell’acqua: tiepida favorisce una lievitazione uniforme.
Procedimento: sciogliere il lievito in parte dell’acqua, poi mescolare con le farine e aggiungere il sale solo dopo che la maglia glutinica inizia a formarsi; incorporare l’olio e impastare per 8–10 minuti fino a un composto liscio. Coprire e lasciare lievitare in un luogo tiepido fino al raddoppio, circa 1–1,5 ore a seconda della temperatura ambiente. Stendere a uno spessore di 3–4 mm, ritagliare dei quadratini o dei rettangoli e lasciar riposare altri 20–30 minuti: questo passaggio aiuta la formazione delle bolle in frittura.
Per friggere, portare l’olio a circa 170–180 °C e immergere pochi pezzi alla volta per non abbassare la temperatura. Girare un paio di volte finché non si gonfiano e risultano dorati; scolare su carta assorbente e servire caldi insieme a fette sottili di prosciutto di Parma, coppa piacentina o culatello di Zibello. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è la maggiore soddisfazione gustativa: il contrasto tra la fragranza calda dello gnocco e la sapidità dei salumi risulta più pronunciato nelle stagioni fredde.
Consigli di servizio e varianti pratiche
Il modo in cui si serve lo gnocco incide sull’esperienza complessiva. Tradizionalmente si consumano i bocconcini ancora caldi, accompagnati da salumi e, a volte, da formaggi freschi. Nell’ottica di una versione più leggera è utile scegliere salumi non eccessivamente grassi o alternare con verdure grigliate e mostarde. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è la differenza di umidità: in ambienti più secchi lo gnocco può perdere fragranza più in fretta; avvolgerlo in un canovaccio pulito aiuta a conservarne la morbidezza.
Per chi vuole sperimentare: si può variare il rapporto tra le farine, aumentando la percentuale di farina di castagne per un gusto più marcato, oppure integrare semi come finocchio per richiamare i salumi locali. Un consiglio tecnico riguarda la frittura: usare un termometro è utile per mantenere la temperatura costante, e friggere pochi pezzi alla volta evita cali termici che compromettono la resa. Un dettaglio che molti sottovalutano è la dimensione dei pezzi: bocconcini troppo grandi rischiano di restare crudi all’interno.
Infine, l’abbinamento con vini locali completa il piatto. Nella tradizione emiliana si preferiscono vini rossi leggeri o lambruschi che bilanciano il grasso e la sapidità dei salumi. Questa è una pratica consolidata che molti ristoratori applicano nella carta dei vini: mette in relazione il piatto con il territorio e ne valorizza gli ingredienti. Restituire lo gnocco fritto alla sua funzione sociale — condividere, assaggiare, raccontare un territorio — rimane l’esito più concreto di ogni variazione.